![]() |
![]() |
|
|
||
Home > DOCUMENTI > Catechesi sull'APOCALISSE > CAPITOLO 16 |
[16] E RADUNARONO I RE NEL LUOGO CHE IN EBRAICO SI CHIAMA ARMAGHEDON. |
![]() |
C) Che cosa accade nella battaglia di Armaghedon? A Meghiddo (alle acque di Meghiddo, cfr. Gdc 5,19) il giudice Barak riportò, contro le popolazioni cananee, una vittoria decisiva per la nascita dello Stato d’Israele (cfr. Gdc 10 ss), vittoria celebrata nel ben noto canto di Debora come intervento salvifico di Dio in favore di Israele e segno di rinascita e di coesione fra le sue tribù (cfr. Gdc 5,1-31). E IL PAESE EBBE PACE PER 40 ANNI (Gdc 5,31). Che cosa accade nella battaglia di Meghiddo dell’Apocalisse? Contro la coalizione, formata dalla trinità satanica e dai re della terra, radunati da spiriti maligni, scende in campo il Logos accompagnato dall’esercito celeste. La sconfitta della coalizione del male è totale: i capi sono catturati e gettati nello stagno di fuoco e gli altri sono massacrati e “non ne scapperà neppure uno” (cfr. Ap 19, 11-21). Mentre dopo la battaglia vinta da Barak il paese ebbe pace per 40 anni, dopo la battaglia di Armaghedon, la Chiesa avrà pace per “mille anni” (cfr. Ap 20, 3-4.6). |
Da questa vittoria nascerà infatti una condizione nuova, per il nuovo Israele, il Logos ripristinerà, le condizioni della vita paradisiaca, interrotta con la caduta, ci sarà una RESTAURAZIONE DELLE CONDIZIONI DEL MONDO PARADISIACO. Questo è attestato con onestà teologica da uno degli interpreti moderni dell’Apocalisse, Pierre Prigent, che pure è schierato per un’interpretazione simbolica del millennio: “Stabilire che il regno messianico dura 1000 anni, significa dunque, in linguaggio simbolico, che ESSO RESTAURA LE CONDIZIONI DELLA VITA PARADISIACA, INTERROTTA CON LA CADUTA. /.../ I numeri e i periodi di tempo hanno un valore simbolico. /.../ L’unico dato certo è che il cielo è sceso sulla terra e che, quindi ora gli uomini possono vivere una vita celeste (Pierre Prigent, l’Apocalisse di Giovanni, Borla, 1985, p. 601, p.602-605; p. 607-608). D) “Fin dall’inizio l’esegesi di Ap 20 si divide in due grandi filoni a seconda che i “mille anni” siano visti come un periodo futuro o un periodo già presente. 1) MILLE ANNI FUTURI. Questo futuro è atteso per la “fine dei tempi”: è l’interpretazione più letterale e, indubbiamente la più antica. Ci sarebbe un periodo storico futuro in cui Dio manifesterà sulla terra, tutte le benedizioni di cui volle ricolmare gli uomini fin dall’inizio. Presso i più antichi testimoni di questa interpretazione (cfr. Giustino, Papia, Ireneo, ecc.), in quest’era di pace si godranno i benefici che Dio aveva preparato per il Paradiso terrestre. La caduta li aveva fatti perdere ma i profeti hanno sempre ricordato che il disegno di Dio, una volta sospeso, per le difficoltà poste dagli uomini, poi si compirà. Questo rapporto evidenziato tra le promesse di un ritorno dell’epoca paradisiaca e i mille anni, mi sembra sia la condizione di una sana interpretazione. Ai nostri giorni, coscienti dei pericoli di questo tipo di speculazione, gli esegeti che vi si rifanno, professano quanto Brutsch chiama un “millenarismo profetico”. Essi leggono Ap 20 nella linea della tradizione profetica (e non apocalittica): vi si scorge, pertanto, L’ANNUNCIO DI UN PERIODO FUTURO, IN CUI DIO MANIFESTERÀ NELLA NOSTRA STORIA, LA SUA SIGNORIA SULLA STORIA. Tutti i particolari relativi a questo periodo (e in primo luogo la sua durata di mille anni) devono essere ricollocati al loro posto; tutto questo però è secondario rispetto all’intenzione profetica fondamentale, unico elemento importante. 2) MILLE ANNI GIÀ PRESENTI. I mille anni sono inaugurati dalla venuta di Cristo e soprattutto dalla sua morte e risurrezione. Giovanni ha usato il numero mille per caratterizzare il tempo presente in quanto mille anni è solo un modo simbolico per indicare la comunione con Cristo e la riparazione della caduta: mille anni è la durata tradizionale della dimora nel paradiso” (Pierre Prigent, l’Apocalisse di Giovanni, Borla, 1985, pp. 596-598). |
[17] IL SETTIMO VERSÒ LA SUA COPPA NELL’ARIA E USCÌ DAL TEMPIO, DALLA PARTE DEL TRONO, UNA VOCE POTENTE CHE DICEVA: “È FATTO!”. A) “La sua Coppa nell’aria”. Vi saranno allora grandi perturbazioni atmosferiche. La 7^ Coppa conduce alla fine del dramma terrestre che poi verrà particolareggiato nei Cap. 17-20. B) “Dal tempio, dalla parte del Trono”. Vuol forse dire ........dalla parte più intima della divinità? C) “Una voce potente”. Sembra la ripetizione della voce del versetto 1: “Udii una gran voce dal tempio”, voce che dava il comando ai 7 Angeli di versare le 7 Coppe sulla terra. |
![]() |
Il Trono è la designazione e la residenza indiretta di Dio. La voce potente che proviene dal Trono di Dio, potrebbe essere proprio quella di Dio, oppure, secondo alcuni autori, quella di un Angelo officiante nel Tempio. D) “È fatto!”. In greco: “Ghegonen”. Il soggetto sottinteso è: l’ordine degli eventi stabiliti da Dio, il suo programma, è realizzato! Questo “È fatto”, in virtù del parallelismo tra le 7 Trombe e le 7 Coppe, corrisponde all’ultima parte della 7^ Tromba: “Allora si aprì il santuario di Dio nel cielo e apparve nel santuario l’arca dell’Alleanza” (Ap 11,19). Abbiamo infatti già visto che questa comparsa dell’Arca è il segno della RESTAURAZIONE DI TUTTE LE COSE: quando apparirà l’Arca, la terra sarà purificata e il popolo di Dio restaurato; in questo senso corrisponde a “È fatto!”. Si tratta - per la 7 Tromba e la 7^ Coppa - di due modi diversi per dire la stessa cosa: l’ora del giudizio di Dio sugli empi si è realizzata (cfr. Ap 14, 7: “È giunta l’ora del suo giudizio”). In greco, questa espressione “è fatto!” di Ap 16,17, torna uguale in Ap 21,6: “Ghegonan” = “È compiuto”. Credo che non si tratti solo di una uguaglianza linguistica casuale. Dio per compiere pienamente il suo programma deve - nella storia - prima eliminare la “città degli idoli”, e poi donare la “città di Dio”, ma nel cuore di Dio questi due momenti costituiscono un unico decreto. Dio prima raddrizza e completa la deforme storia dell’uomo, e poi gli ridona il “giardino terrestre”: ai vittoriosi - e solo a loro - darà in regalo i doni paradisiaci (cfr. Ap 21,2-4.6-7). E) Questa realizzazione del programma di Dio, presenta un aspetto negativo (l’annientamento degli empi nemici di Dio) e uno positivo (il “mondo nuovo”, la “Gerusalemme che scende dal cielo”, Ap 21,1.5 ss). Gli effetti positivi della realizzazione del programma di Gesù, sarà la discesa dal cielo - evidentemente sulla terra - della “nuova Gerusalemme”, dei “cieli nuovi e terra nuova” che saranno descritti in seguito; e quindi dei “mille anni” di pace che saranno la restaurazione del mondo paradisiaco sulla terra, cioè di quel progetto di Dio, interrotto con la “caduta” dei nostri progenitori, ma che Egli riprenderà e realizzerà, come espressione della sua piena Signoria. [18] NE SEGUIRONO FOLGORI, CLAMORI E TUONI, ACCOM-PAGNATI DA UN GRANDE TER-REMOTO, DI CUI NON VI ERA MAI STATO L’UGUALE DA QUANDO GLI UOMINI VIVONO SOPRA LA TERRA. |
![]() |
A) “Folgori, clamori e tuoni......”. Le parole usate sono perfettamente uguali a quanto detto nella corrispondente 7^ Tromba: “Ne seguirono folgori, voci, scoppi di tuono, terremoto e una tempesta di grandine” (Ap 11,19). Solo che nella 7^ Tromba tutto è riferito in modo sintetico, nella 7^ Coppa, invece, viene fornito un maggior numero di particolari. B) Nella 7^ Tromba si parla di un grande terremoto: nella 7^ Coppa si forniscono i particolari di questo terremoto. C) Nella 7^ Tromba si parla di una tempesta di grandine: nella 7^ Coppa si forniscono i particolari di questa tempesta di grandine. Ma gli effetti sono perfettamente uguali a quanto accaduto dopo che l’Angelo gettò l’incensiere - riempito del fuoco dell’altare - sulla terra. Infatti lì è detto: “ne seguirono scoppi di tuono, clamori, fulmini e scosse di terremoto” (Ap 8,5). D) “Un grande terremoto......mai stato l’uguale”. Un violento terremoto c’era stato all’apertura del 6° Sigillo (Ap 6,12) e insieme “i monti e le isole furono smossi dal loro posto” (Ap 6, 14). Un terremoto c’è stato subito dopo che l’Angelo incensiere getta sulla terra il fuoco dell’altare (cfr. Ap 8,5). |
Quello che si realizza qui è un terremoto molto più grave del “grande terremoto” descritto in Ap 11, 13, cioè il terremoto che segue immediatamente la risurrezione e l’ascensione al cielo dei due Testimoni, terremoto che fece crollare un decimo della città di Gerusalemme e perirono 7000 persone. E) Ricordo che dei due Testimoni in Ap 11, 11-12, è detto in modo incontrovertibile che essi risorgono e salgono al cielo; quindi per loro si tratta di una risurrezione gloriosa. Se fossero solo risorti senza salire al cielo, avremmo potuto giustamente pensare che la loro era una risurrezione semplice come quella di Lazzaro (Gv 11, 1-44) come quella del figlio unico della madre vedova (Lc 7,11-17) come quella della figlia di Giaro (Mc 5,21-23. 35-43) i quali tutti, dopo essere risorti, hanno tutti dovuto poi di nuovo morire. Ben diversa è la risurrezione dei due Testimoni che dopo essere risorti salgono al cielo, quindi la loro è una risurrezione gloriosa. Siamo di fronte quindi ad una verità sconcertante e affascinante che deve farci riflettere: qui ci sono due persone che - prima della fine del mondo e quindi prima del giudizio universale - risorgono col corpo glorioso e ascendono al cielo! F) Tornando al nostro testo attuale vediamo che in questi passi, con ben quattro riferimenti, è sottolineato il carattere unico ed eccezionale di questo terremoto, mai sperimentato con tanta potenza distruttrice. Né questo terremoto, né l’insieme di lampi, clamori, tuoni ricompariranno più nel testo. Appartengono solo alla 7^ Coppa. Secondo E. Corsini nel terremoto che si abbatte sulla “grande città” è difficile non vedere un’altra allusione al terremoto che nel Vangelo di Matteo si verifica alla morte di Cristo (cfr. Mt 27,51) (cfr. E. Corsini, op. cit., p. 315). Ma questa analogia va gettata solo in senso teologico: come aver ucciso Cristo, ha provocato le tenebre, così l’uccisione spirituale di Cristo in un regno idolatra e satanico, provocherà anche la ribellione della natura. La natura infatti si ribella all’uomo quando l’uomo si ribella a Dio. Completiamo l’allusione ai fenomeni che si realizzano quando Cristo muore in croce ricordando che il Vangelo, alla morte di Cristo registra un avvenimento straordinario e sconcertante, spesso passato sotto silenzio: “I SEPOLCRI SI APRIRONO E MOLTI CORPI DI SANTI MORTI RISUSCITARONO. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti” (Mt 27, 52-53). Non c’è dubbio che si tratta di una vera risurrezione fisica. In tutti i commenti più autorevoli, si mette in evidenza che “siccome si parla di “corpi di santi” e si dice che “apparvero a molti”, si tratta di una vera risurrezione, nella quale però i corpi, non erano più soggetti alle leggi della natura, ma erano corpi gloriosi e dotati di nuove proprietà. Pochi (con Teofilatto) pensano che questi Santi morti-risuscitati, siano poi nuovamente scesi nelle loro tombe; ma è più comune la sentenza che ritiene aver essi avuto parte al trionfo di Gesù Cristo, ascendendo al cielo con Lui” (La Sacra Bibbia, a cura di P. Marco M. Sales, Nuovo Testamento, vol. I, I quattro Vangeli e gli Atti degli Apostoli, nota a Mt 27, 52-53, p. 130). |
G) La mistica Maria Agreda così riferisce in merito alla interpretazione di questo passo del Vangelo di Matteo: “ Come effetto della sua resurrezione e quale pegno e caparra della nostra, Gesù ordinò a molte delle anime liberate di riunirsi a i loro corpi resuscitati a vita immortale, fra essi S. Anna, S. Gioacchino, S. Giuseppe ed altri patriarchi singolari per la loro fede e speranza nell’incarnazione” (Agreda 1996, p. 366). H) Rispetto ad Ap 11,19, nella serie di fenomeni di questo nostro passo, manca la grandine, che però compare al versetto 21. Anche della grandine è sottolineata l’eccezionalità e l’unicità. Come a dire che siccome i peccati commessi sono eccezionali, anche il castigo medicinale sarà eccezionale, unico. Un rapido parallelismo col libro di Geremia ci farà capire: “Gerusalemme è più ribelle delle genti (Ger 5,7) e ha profanato il tempio (Ger 5,11) , perciò Dio compie “quanto non ha mai fatto e non farà mai più” (Ger 5,9). |
![]() |
Pag. 6 di 7 | ||
<< precedente | 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 | successiva >> |
|
|
![]() |
Associazione Fede, Cultura e Società - a cura di Don Guglielmo Fichera - Ultima modifica: 11/09/2007 ore 16:30 |